è venerdì 37 aprile
l’orologio ha battuto le ore in quattro e quattro otto;
e ora l’orgoglio batte cassa, dallo specchio:
puntuale, uguale, fermo a dieci anni fa.



questa è la realtà
e insieme la sua finzione.

troia è la società,
sua figlia l’abnegazione.

l’aria mi scotta fredda ed elettrica
mi strappa al sogno quest’altra mattina
la produzione vige, fa-fabbrica
auto-casa-auto-chiesa: officina


splendida è la “verità”
in televisione,

ma vedo grigio di già:
dalla finestra
aperta sulla ce-città
si vede un’ostia,

un prete in tuta che la mastica.
un sacro scorcio di Repubblicità:
cifre sorrisi squallidi plastica...
metrica atroce macchina



perfetto sono perfetto,
ma scucio gli occhi e sono vecchio
ed inetto;
padrone e schiavo di me stesso.

la giostra gira, come gira il fumo
come la nebbia quand’è fitta
e c’è dietro il muro.
[a!]

...accidenti!
m’in(s)quadrano le fauci e non sono –abbastanza- contenti
son troppo affilati i miei denti e peggio i pensieri,
(e vedrete domani che fottuto pivello ero ieri...)

impari.
confondi.
abbracci
ed affondi il coltello.
chiudi gli occhi ed aspetti tranquillo che finisca il macello.



hai un anello
come un mediocre saturno,
penso al tuo dito
e vedo un gioiello.

so sbagliare
come chi mi ha fatto male;
insomma, “essere uguale”
mi sembra un peccato davvero originale



nato secchio e tondo
in mezzo a un pozzo quadrato e senza fondo
nutro dentro di me
la necessità nuova di un attentato
alla sete, al mercato.

con una mano sul cuore e l’altra no
non disseterò. diserterò.
non disseterò. diserterò.
diserterò.

avvinghio le dita in un pugno
e rinuncio a brandirlo
lo uso per martello
lo batto sull’orgoglio;
mi sento malato
ma “meglio”.

fra qualche spot finisce aprile per l’ottava volta,
domani sarà maggio o –al peggio-
un altro oggi di scorta.
la festa ritarda; non è mica morta.